Quel filo di voce che ha urlato per i deboli

«Chi sono io per giudicare?»: quando pronuncia questa frase lo fa durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro: si rivolge alle persone Lgbt+, il cardinale Bergoglio, da qualche mese diventato papa Francesco. Ed è subito chiaro a tutti e tutte che quel pontificato avrebbe segnato una svolta nella Chiesa cattolica.

Data:

21/04/2025

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Il Papa dialoga con una giovane donna
Quel filo di voce che ha urlato per i deboli

Descrizione

«Chi sono io per giudicare?»: quando pronuncia questa frase lo fa durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro: si rivolge alle persone Lgbt+, il cardinale Bergoglio, da qualche mese diventato papa Francesco. Ed è subito chiaro a tutti e tutte che quel pontificato avrebbe segnato una svolta nella Chiesa cattolica.

Francesco ha cambiato il tono, i gesti, l’approccio pastorale, sostenendo più volte che «La Chiesa è un ospedale da campo, non una dogana». Di certo, il suo pontificato non ha cambiato la dottrina, ma ha fatto cadere il muro del giudizio, sostituendolo con quello della misericordia: 𝘔𝘪𝘴𝘦𝘳𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘢𝘵𝘲𝘶𝘦 𝘦𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘥𝘰 è infatti il motto - tratto dalle "Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote" - che Bergoglio ha scelto per il suo pontificato, che significa “guardò con misericordia e lo scelse” e si riferisce al Vangelo di Matteo, quando Gesù incontra il pubblicano Matteo. Un omaggio alla misericordia divina, un invito a guardare l'Altro non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore: «A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando», dice Francesco a padre Spadaro nella sua prima intervista a La Civiltà Cattolica.

Tra gli scritti fondamentali del pontificato di papa Francesco sono le encicliche e le esortazioni apostoliche. Dalla «Evangelii Gaudium» alla «Laudato Si’» fino a «Fratelli Tutti», che richiama all’impegno per una società più fraterna e solidale perché «tutti, tutti, tutti», come Bergoglio dice spesso, apparteniamo ad un'unica famiglia, quella umana: dobbiamo, dunque, riconoscerci fratelli perché figli di un unico Creatore. Siamo "tutti sulla stessa barca" in un mondo globalizzato e interconnesso dove ci si può salvare solo insieme.

«Fratelli Tutti» è una denuncia alle storture dell’epoca contemporanea: la manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; l’egoismo e il disinteresse per il bene comune; la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo, la povertà; la disparità dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi (10-24). Si tratta di problemi globali che esigono azioni globali, sottolinea il Papa, lanciando l’allarme anche contro una “cultura dei muri” che favorisce il proliferare delle mafie, alimentate da paura e solitudine (27-28). Inoltre, oggi si riscontra un deterioramento dell’etica (29) cui contribuiscono, in un certo qual modo, i mass-media che sgretolano il rispetto dell’altro ed eliminano ogni pudore, creando circoli virtuali isolati e autoreferenziali, nei quali la libertà è un’illusione e il dialogo non è costruttivo (42-50).

«La portanza della fraternità non è la medesima di quella della fratellanza e neppure della solidarietà. La fraternità è un principio trascendente che ha il suo fondamento nel riconoscimento di una universale appartenenza. La fratellanza unisce gli amici, ma li separa dai non amici; la fraternità, invece, è universale e crea fratelli, non soci», ha spiegato ieri Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (PASS) nel suo ricordo di papa Francesco sul Corriere della Sera.

Francesco è il Papa degli ultimi e della pace, del dialogo e della cultura dell'incontro, dei giovani.

«Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?», dice a Lampedusa nel 2013 parlando delle persone migranti morte, a migliaia, in mare.

«Il Signore è con i migranti», dice dopo la strage di Cutro, rivolgendosi poi ai sindaci e ai cittadini italiani: «Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!».

Nel suo viaggio in Terra Santa nel 2014, papa Francesco ha voluto con sé due amici argentini, il rabbino Abraham Skorka e il dottor Omar Abboud, già segretario del Centro islamico di Argentina, per dimostrare che è possibile camminare insieme anche se si professano religioni differenti. Famoso è l'abbraccio dei tre davanti al Muro occidentale di Gerusalemme.

«Abbiamo bisogno di religione per rispondere alla sete di pace del mondo. Le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa»: così papa Francesco nel 2022 ha aperto il settimo congresso delle religioni mondiali e tradizionali a Nur-Sultan, dopo una preghiera in silenzio, seduto accanto a ottantuno rappresentanti di diverse fedi provenienti da cinquanta paesi radunati attorno al tavolo della grande sala circolare nell’enorme edificio del Palazzo dell’indipendenza.

«Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo», dice Bergoglio nel 2014 e il giorno prima di morire nel messaggio Urbi et Orbi, egli denuncia la corsa agli armamenti e chiede il cessate il fuoco nei territori di guerra. Invoca la pace, la liberazione dei prigionieri, il rispetto della dignità umana e l’uso delle risorse per combattere fame e povertà: «Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile», scrive.

Il 25 aprile è stato confermato il "Giubileo degli adolescenti": 80mila ragazzi e ragazze saranno dunque a Roma, nonostante la scomparsa di papa Francesco che, da parroco, si occupava di pastorale giovanile. Da ricordare i sette pilastri della sfida educativa secondo papa Francesco: Educare è integrare; Accogliere e celebrare le diversità; Affrontare il cambiamento antropologico; L’inquietudine come motore educativo; Una pedagogia della domanda; Non maltrattare i limiti; Vivere una fecondità generativa e familiare (ne potrete leggere qui: https://www.laciviltacattolica.it/.../sette-pilastri.../).

A gennaio 2025, Bergoglio lascia ai giornalisti una esortazione per "disarmare la comunicazione" chiedendo loro di "non dimenticare il cuore", seminando speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto.

Chiede alla Stampa di essere testimone e promotrice di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo, raccontando storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro.

«Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione: Franciscus», le ultime parole scritte da Jorge Bergoglio nel suo testamento.

«Su tutto si impone un pensiero. Quel che ha deciso di fare ieri, nel giorno di Pasqua, con la benedizione al mondo, e il giro in piazza tra i fedeli, con il suo ultimo richiamo al principio di umanità, come criterio di condotta per ciascuno. Oggi, appare come un saluto alla Chiesa e alle donne e agli uomini di tutto il mondo. La risposta a questo saluto da parte di tutti nel mondo non deve limitarsi al ricordo e alla riconoscenza ma deve tradursi in responsabilità, nel far proprie nei comportamenti quotidiani le indicazioni dei suoi insegnamenti», ha detto ieri, nel suo saluto a Bergoglio, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Ecco, forse l'insegnamento che papa Francesco ci lascia è quella di superare la tentazione perenne di vivere non a misura di Vangelo, ma facendoci un vangelo a nostra misura per poterci illudere di essere "in pace".

(la foto è tratta da Avvenire del 28 agosto 2024)

l'articolo di Gabriella Debora Giorgione

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Ultimo aggiornamento: 19/05/2025 15:03

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