Descrizione
Nella foto d’equipe a partire da sinistra: Gabriella Davì, ausiliare; Pietro Lo Piccolo, referente di sede ed educatore all’integrazione; Rosanna Scordato, responsabile de "La Mimosa"; Paola Spitaleri, Insegnante di lingua italiana; Franca Orlando, educatrice all’accoglienza; Laura Bondì, operatore legale; Santina Caruso, educatrice all’accoglienza; Francesca Pullarà, assistente sociale; Gloria Scaduto, educatrice all’integrazione; Lucrezia Mannino, psicologa.
Nel lavoro di équipe e nei contesti sociali in generale ed educativi in particolare «Bisogna approcciarsi con quella stessa delicatezza e quello stesso garbo che bisogna avere quando si ha tra le mani qualcosa di tanto prezioso quanto vulnerabile: l’adolescente… il giovane», ci dice subito Rosanna Scordato e già da questo comprendiamo il punto di vista dal quale parte per il "lavoro quotidiano" che generalmente appare di natura quasi esclusivamente "materiale, organizzativo". Approfondiamo con lei la “vision” dell’accoglienza che lei condivide anche con la sua équipe e con la “Sviluppo solidale scs” che, per il Sai Palermo, gestisce la sede Msna “La Mimosa”.
Questi venti anni di esperienza sono stati, innanzitutto, un’ottima osservazione…
Esatto, tanti operatori, tante fasi del lavoro educativo, criticità e risorse, evoluzioni e involuzioni dei e nei gruppi di lavoro, in un’altalena fisiologica ed inevitabile quando si parla di un lavoro così fortemente complesso. Io stessa, nel ruolo di responsabile, mi sono seduta su tante sedie; spesso è stato fondamentale lasciare la mia sedia per accomodarmi in quella del collega e guardare da un’angolatura leggermente o fortemente diversa. E forse è questo il vero valore dell’equipe. Facile non è. Ma se è difficile, non vuol dire che sia impossibile.
Non ci sono solo le sedie degli operatori, però…
E noi le aggiungiamo, sa? Negli anni le nostre équipes hanno imparato a programmare periodicamente quella che noi chiamiamo “l’equipe allargata”: tutti gli operatori e tutti ragazzi. Qui, oltre a scambiarci di posto (in senso figurato), mettiamo sul tavolo incomprensioni, richieste, gratificazioni, piccoli o grandi rancori, ma anche sorrisi e abbracci. A quel tavolo, sia che siano seduti solo operatori, sia che ci siano operatori e ragazzi insieme, si porta la quotidianità.
Cosa è la “quotidianità” in un lavoro come il vostro?
È il setting del lavoro di équipe. Ho letto una volta una definizione che ho "indossato": «L’educatore non ha il camice, non lavora in uno studio, non ha orari di ufficio. L’insieme di tutte queste dimensioni di setting è una caratteristica professionale unica, che si riassume nel termine “quotidianità”».
Un lavoro non complesso, allora, ma “di complessità”…
Sì, il lavoro di equipe è sinonimo di una complessità che è a più livelli. È un lavoro fatto da persone che lavorano con altre persone, è un lavoro concentrato sulla cura di altre persone. Nel lavoro sociale la persona è al tempo stesso materia prima, processo e prodotto finale, volendo fare un paragone crudo con "il processo lavorativo" a cui comunemente siamo abituati a pensare.
E la “materia prima” è la persona, volendo continuare la metafora…
Direi forse che la materia prima è l’educatore, il processo è la relazione psico-educativa, il prodotto finale invece è la vera incognita perché è il raggiungimento o meno di un obiettivo condiviso di vita che interpreta il vero senso del lavoro educativo. Difronte a tutto questo, secondo lei qualcuno potrebbe smentire il fatto che siamo a livelli di complessità abnormi? Impossibile!
Se non impossibile, direi complicato, perché anche l’educatore è “persona” e quindi la complessità aumenta.
Concordo, esatto. Ogni educatore, ogni operatore in genere è portatore di un suo mondo di valori, credenze, aspetti caratteriali e relazionali che incontra i mondi dell’altro, sia collega che ragazzo o ragazza. Come avviene questo incontro? È un incastro di complementarietà o uno scontro di opposti? Assistiamo ad un movimento di equilibri per natura instabili che l’educatore è chiamato a rendere il più stabili possibile.
La sfera degli adolescenti è però dinamica, difficile parlare di “stabilità”…
Alla fine i ragazzi e le ragazze vogliono che l’educatore o l’educatrice sia quella fune a cui aggrapparsi per fare una “sosta emotiva” nel caos interiore da cui sono sopraffatti. Se pensiamo ai ragazzi nei nostri Sai, una metafora calzante potrebbe essere l’educatore come il salvagente nella loro “traversata emotiva”. Per loro siamo "attracco" ma, al contempo, dobbiamo lasciare spazio all'espressione dei loro sogni, della loro volontà, del loro dissenso, dei loro diritti.